Per un approccio filosofico al counseling
Chi si rivolge al counselor sente la necessità di modificare i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti dentro relazioni e situazioni che egli non riesce più a gestire da protagonista ma che si trova, suo malgrado, a dover subire, senza volerlo
Il Counseling non è un setting terapeutico, ma consiste in una relazione d'aiuto con l'altro, il cliente, che si trova in condizione di momentanea difficoltà e in uno stato di disagio passeggero, dovuto al contesto esterno, e al modo in cui egli si posiziona con il suo agire, all'interno di quelle dinamiche di relazione.
Pertanto, chi si rivolge al counseling sente la necessità di modificare i suoi atteggiamenti e i suoi comportamenti dentro relazioni e situazioni disfunzionali, all'interno delle quali egli non si riesce più a riconoscere come protagonista, ma che è costretto, suo malgrado, a subire.
Lungi dal voler qui ingaggiare una polemica con gli psicologi, che fanno counseling senza mai aver frequentato una sola lezione di quel noto triennio di studi, che tutti quelli che si volessero approcciare alla professione di counselor dovrebbero intraprendere (si consegue un master triennale specialistico presso una scuola accreditata e riconosciuta, e si fanno poi continue sedute di supervisione, soprattutto se si pratica attivamente con casi concreti), mi limito a sottolineare con forza la differenza tra il counseling - che, tra le relazioni di aiuto, si conferma come metodologia di approccio di tipo culturale, con inevitabili risvolti filosofici e psicologici, ma anche storico sociologici - e il setting psicologico, che prende in carico un disagio di grado lieve o moderato, già come tale riconosciuto, che può ancora essere corretto senza l'uso di farmaci, o che si accompagna ad un'efficace terapia farmacologica, che però lo psicologo non può prescrivere, non essendo medico.
L'approccio del counselor è piuttosto un approccio filosofico di tipo esistenziale, rivolto al presente. La situazione deve essere descritta e circoscritta al problema attuale. Mai bisogna tornare troppo indietro, al passato, per riesaminare tutti i ricordi del cliente. Mi rendo conto che questo approccio può risultare difficile, perché spesso è proprio chi chiede aiuto che esterna l'esigenza e la necessità di raccontare tutto. E questo bisogno di voler dire, può in qualche modo anche essere funzionale al cliente, perché gli serve come valvova di sfogo delle sue tensioni energetiche negative; e al counselor, perché certamente conoscere la storia del cliente può aiutarlo a comprendere maggiormente meccanismi di ragionamento, e atteggiamenti, che si sono poi andati, nel corso del tempo, a strutturare nella personalità di chi richiede l'intervento.
La questione, però, deve rimanere centrata sul focus. E questo focus non può che essere acceso ad illuminare il presente, mai a ricercare cause e antefatti nel passato.
Il passato non è oggetto di indagine per il counseling. Anche perché, obiettivamente, al passato non si possono riconoscere tutte le cause e le responsabilità del nostro agire presente. E, soprattutto, perché lo stare fermi nel passato ci impedisce di guardare con occhi liberi dal pregiudizio quelle che sono le situazioni dell'oggi.
Dal punto di vista strettamente filosofico, l'approccio del counselor è simile a quello utilizzato da Socrate, con la metodologia del dialogo, e nello stesso tempo si avvale delle suggestioni delle filosofie orientali, il Buddhismo in primis, e di tutti quegli stimoli che provengono dalle filosofie esistenzialistiche (Kierkegaard, Schopenhauer, Heidegger, Sartre). Stimoli che vanno a puntualizzare elementi decisivi della vita di ciascun essere umano, quali sono la scelta, la volontà e il desiderio, lo stare nell'attimo presente come esserci e poter essere, la nausea e l'inferno che ogni relazione e ogni interazione propongono al soggetto che vive - o vorrebbe vivere - da protagonista la sua esperienza esistenziale.
Ciò che importa per il counselor è il qui ed ora, l'adesso. Ed è in questo spazio contestuale e temporale del presente che è necessario rimanere e fare luce, sia per esaminare la situazione-problema, sia per sciogliere gli impedimenti ad una normale vita di relazione, orientando il cliente ad assumere atteggiamenti di pensiero e comportamenti atti a gestire da protagonista la sua propria esistenza, piuttosto che a doverla meramente subire come un progetto estraneo che sia stato a lui proposto dagli altri.
Commenti
Posta un commento