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Il Counseling



Breve Introduzione

Sono un’insegnante liceale di ruolo di Storia e Filosofia appassionata del lavoro che faccio, con felicità e gioia, per la grande carica emotiva che ogni giorno i miei alunni sanno regalarmi. Perché stare in mezzo ai giovani è l’esperienza più bella e arricchente che si possa fare nella vita. Sono anche madre di due ragazzi meravigliosi. Ed è forse anche un po’ per questo che, dopo aver cresciuto i miei figli, ho scelto di rimanere nel mondo della scuola, per continuare a condividere l’emozione di stare con e tra i giovani, future classi dirigenti del nostro paese. Il mio vissuto di mamma e di docente, oltre che di figlia che è stata per anni molto impegnata nella cura di una madre anziana e bisognosa di attenzioni continue e costanti, non mi ha fatto però dimenticare di essere una donna completa, ancora alla ricerca di una stabilità affettiva e sentimentale, che rincorro e che non voglio perdermi. Per le oggettive condizioni del mio vivere ad un certo punto ho sentito forte dentro di me esplodere l’esigenza di un cammino arricchente di umanità, come può esserlo l’esperienza di gruppo del counseling, memore peraltro dei miei studi universitari di psicologia, pedagogia, e sociologia, e di una delle abilitazioni da me successivamente conseguite per l’insegnamento delle scienze umane. Dopo un’ulteriore esperienza di alternanza scuola-lavoro, con le mie classi liceali, ho avuto la possibilità di contattare direttamente il dottor Giuseppe Mammana, e di conoscere personalmente la realtà dell’Istituto Life di Foggia. Il Bonus della Carta Docente ha fatto il resto, determinando in me la scelta sicura di intraprendere il percorso di Counseling semestrale prima e annuale poi, maturando infine la convinzione di dover proseguire gli studi fino al conseguimento effettivo del Master Triennale. Posso, ormai, affermare con certezza che l’esperienza mi ha fortemente maturata, formando in me quella consuetudine al dialogo interpersonale ed interattivo, che avevo ultimamente tralasciato di intraprendere per via di alcune vicende di vita vissuta, che mi avevano fatto chiudere all’esperienza di comunicazione significativa con l’altro. Non solo mi sono ancora aperta al dialogo, ma ho imparato finalmente ad agire in modo proficuo per ottenere i risultati desiderati e auspicati, senza indugiare troppo nell’abitudine alla lamentela e allo sterile piagnucolio. Credo di essere diventata, perciò, anche più realistica nella valutazione del rischio e del successo possibile, ed in questo sicuramente si è accresciuto il mio potere personale di azione e di intervento sulla realtà operativa del contesto, entro il quale mi trovo a decidere e ad agire. L’esperienza contratta in piccolo e grande gruppo mi ha fatto conoscere persone meravigliose e ricche di tanta umanità, non priva di sofferenza interiore, ma alla continua ricerca di cambiamento e stabilità al tempo stesso. I docenti sono stati tutti interessanti negli spunti che ci hanno proposto. La calma serafica dello psichiatra, Professor Mammana; l’ironia dello psicoterapeuta Luigi Di Michele; l’istrionica simpatia della psicologa Silvia Fedele; la pacata maturità della terapeuta Anna Rita Papa; la travolgente simpatia, carica di umanità, della nostra coordinatrice, assistente al corso, dottoressa Rita Vurchio, sono tutte conoscenze ricche di contenuti umani, che hanno esaltato la positività dei nostri comuni apprendimenti, facendoli uscire fuori dalla vecchia dinamica della lezione frontale, imposta dai contenuti dei libri, e riportandoli entro il loro alveo naturale di esperienze di vita vissuta. Da questo punto di vista, mi sento davvero grata a tutti quelli che hanno fatto questo percorso di counseling insieme a me e ai miei compagni, perché senza di loro avrebbe avuto un senso ed un significato diverso. E, invece, va davvero bene che sia andata così. Grazie, perciò!

Il senso del percorso formativo

Ciò che ho capito, nell’esperienza vissuta della mia vita, è che siamo tutti in relazione costante e comunicata con gli altri. Non esiste un solo atto del nostro comportamento che non sia anche, al tempo stesso, una forma di comunicazione attivata nel contesto. Pertanto, l’attenzione alle dinamiche comunicative, e alle interazioni sociali, oltre che ai vissuti di transfert, sono elementi fondamentali del successo o dell’insuccesso, personale e sociale. Per questo motivo, ho scelto di iniziare col presentarvi l’approfondimento delle dinamiche del transfert interattivo, per poi passare all’esame dei quattro noti passi del counseling, e del counseling breve di John Littrell, e chiudere, infine, con una sintesi sulle forme possibili di arteterapia, strategicamente adoperate nelle sedute di counseling, laddove sia difficile utilizzare il contesto verbale e narrativo, vuoi per l’età del cliente, vuoi per le oggettive difficoltà nell’esternazione del proprio personale vissuto doloroso. Ciò che deve essere messo in chiara evidenza, è che il cliente, bisognoso di aiuto e di sostegno, da parte del Counselor, ha necessità di amplificare il suo proprio potere sulla realtà, che deve imparare a dominare, anziché lasciarsi da quella dominare. Il successo del Counseling si misura, perciò, sulla rinnovata abilità del cliente a prendere finalmente in mano la sua vita, di cui egli sente di essere il protagonista attivo, l’esperto, smettendo l’abito del fatalismo e della passiva rassegnazione. Tutto ciò coincide con un’implementazione della personale capacità di empowerment, obiettivo iniziale e ultimo della metodologia del Counseling. Perdonatemi se argomenti di tanto vario spessore sono stati forzatamente costretti in questo breve sunto, meritando sicuramente uno spazio molto più ampio di trattazione e di approfondimento.

Il transfert nella relazione umana

1.1 Transfert e Controtransfert

Nella relazione medico-paziente studiata da Freud, allorché si accingeva a muovere i primi passi nella psicoanalisi, emerse quello che è stato poi definito transfert, termine che deriva dal latino, e che vuol dire letteralmente “trasferimento”. “Il transfert, in psicoanalisi, è il processo di trasposizione inconsapevole, durante l’analisi e sulla persona dell’analista, di sentimenti e di emozioni che il soggetto ha avvertito in passato nei riguardi di persone importanti della sua infanzia”. (Treccani Enciclopedia online) Nei fatti il transfert implica la traslazione dei vissuti emozionali dal paziente al terapeuta, il quale, agli occhi del paziente stesso, viene identificato con una figura importante della sua vita di relazione, il marito o la moglie; il padre o la madre; un compagno o una compagna. Lo psicoanalista finisce, così, per rappresentare quella figura importante di relazione, incarnando su di sé tutti i vissuti processionali ed emotivi del paziente. L’umana vita di relazione è fortemente intrisa di vissuti emotivi, i cui poli più contrastanti sono rappresentati dai sentimenti di amore e di odio. Motivo per il quale è praticamente impossibile provare totale indifferenza. A meno che non si parli di soggetti assolutamente anaffettivi. Ma, in questo caso, si è già nell’alveo delle patologie. E il problema andrebbe esaminato a monte, a partire dall’analisi dei vissuti di attaccamento materno o dalla figura del caregiver che, in sostituzione della madre, è la persona che più si è presa cura del bambino, nel corso del suo primo anno di vita. Ne consegue che, per un soggetto psichicamente equilibrato, è pressoché impossibile provare assoluta indifferenza nei confronti di un altro essere umano, con il quale si trovi ad entrare in contatto. Pertanto il transfert implica sempre una forte scarica di emotività, che può essere positiva e negativa insieme, ed in questo caso si dice ambivalente. Ma può anche essere del tutto positiva, riproponendo vissuti di amore e di benevolenza; o solo ed esclusivamente negativa, generando odio e risentimento nei confronti del terapeuta. Partendo dalla constatazione che ogni relazione umana è sempre e comunque “terapeutica” ciò che io intendo evidenziare qui è che il transfert, fuori dalla dinamica del lettino psicoanalitico, si presenta come quella relazione biunivoca che investe tutti i rapporti umani, nei quali inconsapevolmente si tende a riproporre lo schema di rapporto che il bambino ha attivato con la propria madre, nel periodo dell’attaccamento. Bisogna, però, essere consapevoli del fatto che questo schema di relazione, che si tende inevitabilmente a riproporre all’altro, con il quale si instaura un rapporto più o meno profondo di conoscenza e di dialogo, provoca sempre e comunque una reazione da parte dell’interlocutore. E questa reazione può, pertanto, essere modulata dai comportamenti reciproci, e dal modo di porsi nei confronti dell’altro. Le relazioni umane, banalmente, rispondono, infatti, alle più elementari leggi della fisica di Newton, ed in particolare al terzo principio della dinamica, per il quale “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Si sa, infatti, proprio dalla psicoanalisi che ogni transfert prevede un controtransfert, perché ogni azione porta già in se stessa il germe delle future risposte che i comportamenti umani generano e producono nell’attivazione emozionale dell’altro. E anche in questo caso, uscendo dalla relazione analitica a due, si può dedurre che il controtransfert, inteso come risposta emotiva dell’altro alle modalità dell’interlocutore, lo si vive ogni giorno, nella pratica delle normali relazioni umane che vengono quotidianamente intrattenute. Pertanto, anche i rapporti medico-paziente; docente-discente; genitore-figlio; amici-amanti determinano vissuti di affettività che nelle loro dinamiche interattive possono giovarsi della conoscenza profonda della relazione fondata su transfert e controtransfert. Comprendere la dinamica di questi fragili equilibri di relazione è fondamentale per la genuinità di una buona analisi dei vissuti personali, ma anche per intrattenere sereni rapporti con gli altri in generale. La consapevolezza delle dinamiche del transfert e del controtransfert deve poi condurre ad evitare la confusione tra il simbolico rappresentativo ed il reale, come tra ciò che una persona significa nella relazione, alla luce dei propri vissuti emotivi, e ciò che quella persona propriamente è, nella verità dei fatti. Perché per non scivolare nella trappola delle relazioni malate, è fondamentale ragionare e rapportarsi all’altro secondo il principio di realtà. La capacità di scorgere l’illusione del simbolico rappresentativo, e di svelare l’effettiva natura umana dell’interlocutore, nei rapporti umani, è di vitale importanza per vivere in serenità il presente, senza rimanere infinitamente legati al passato. Le relazioni sane, infatti, consentono si guardare ai personali vissuti senza impedire di scorgere la realtà, così come essa è, offrendo l’opportunità di immaginare e progettare un futuro possibile. Tutte le altre, eccedenti, configurazioni sono rischiose e risultano già espressione manifesta di una patologia in atto.

1.2 Il Dialogo

Dopo aver chiarito le dinamiche del transfert e del controtransfert, bisognerebbe prendere coscienza del fatto che tutte le relazioni umane, che abbiamo già detto essere portatrici di una forte carica emotiva, sono anche fondate sul dialogo. Difatti, perché ci sia un rapporto tra almeno due soggetti è necessario che si stabilisca, tra loro, un canale di comunicazione che è la base ed il fondamento di ogni ulteriore possibile interazione. Ciò nella consapevolezza che il comportamento umano è sempre e comunque fondato sulla trasmissione di informazioni da un soggetto emittente ad un altro ricevente, che viene detto interlocutore se il messaggio veicolato è di tipo esclusivamente dialogico. Esiste, però, un dialogo fatto di comunicazione non verbale, costruito non soltanto sulle parole, ma anche sui silenzi e sugli atteggiamenti. Fondato dunque sui fatti e sui comportamenti mantenuti dagli interlocutori. Difatti, si parla con la voce ma anche con il corpo. La comunicazione non verbale si estende ad un livello sottostante rispetto a quella di tipo evidentemente dialogico, ed è fatta di emozioni e sentimenti che passano dall’uno all’altro interlocutore creando legami affettivi duraturi, come quello che rende familiare, per tutta la vita, il bambino al suo caregiver, o alla figura parentale di riferimento che, nella normalità, è prima di tutto la madre, e solo secondariamente, il padre. I genitori rimangono, in ogni caso, modelli affettivi di ineguagliabile spessore emotivo, tanto che si sostiene con convinzione, nel mondo scientifico, che la deprivazione in tenera età di una delle due figure parentali può compromettere la stabilità emotiva per tutta la vita.

1.3 Il transfert nella comunicazione parlata

Il transfert, perciò, esiste tanto nella relazione emotiva quanto in quella dialogata. Perché, con le parole, si trasmettono anche stati d’animo e sentimenti, che coinvolgono emotivamente l’interlocutore. Conoscere le dinamiche del transfert vuol dire, pertanto, avere già una buona conoscenza di base di tipo relazionale, che deve muovere la convinzione che, atteggiamenti adottati, comportamenti posti in essere e parole pronunciate entrano a fare parte di necessità di una relazione, una volta che siano divenuti fatti e accadimenti reali. Ecco il motivo per il quale le persone sagge pensano tanto prima di parlare, e misurano ogni loro gesto e comportamento nella convinzione che essi abbiano il peso psicologico di un macigno scagliato con forza verso l’altro, una volta che si sia dato corso all’azione. Una ferita emotiva si può rimarginare, ma avrà sempre il senso di un coccio rotto e aggiustato. Ed il suo peso nei ricordi e nei vissuti sarà incancellabile. Ogni relazione che non funziona è un trauma per la psiche. Ed ogni trauma, ci ha insegnato Freud, può essere curato, ma non cancellato del tutto come se non fosse mai esistito. Proprio come un taglio, chiuso con i punti, rimane cicatrice visibile a memoria dell’incidente accaduto.

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